“A Ciambra”: tra stereotipi e rappresentazioni negative
di Fiore Manzo
“A Ciambra” del giovane regista Italo-Americano, Jonas Carpignano, candidato dall’Italia agli Oscar 2018 rappresenta sin dal titolo un agglomerato di stereotipi e rappresentazioni negative che altro non sono se non la riproduzione fedele della realtà erroneamente generalizzata e realizzata dai gağğè (non rom) e sovente introiettata e confermata da diversi interlocutori delle comunità romanès.
Di fatti, se le comunità romanì quotidianamente sono rappresentate dai media che fra l’altro accrescono l’odio nei confronti di questa etnia, nel film sembra che ad essere raccontata non sia solo la storia di Pio e la sua famiglia ma al contrario la storia dell’intera comunità che a Gioia Tauro abita in via Ciambra.
A prendere forma uno dietro l’altro sono gli stereotipi che diverse ricerche scientifiche mettono in risalto e così Pio e la sua famiglia sono: nomadi, rumorosi, fanno paura, ladri, disonesti, violenti, analfabeti, furbi, bugiardi, poveri… (Meneghini 2017)
Tutto questo nel film rischia d’essere confuso per la realtà e fa molto discutere, altresì, la scelta del regista, che potrebbe essere vista come violenta, di far interpretare ad una famiglia romanì la parte dei protagonisti. Da studioso e da appartenente ad una delle miriadi di comunità romanès avrei preferito vedere una storia parallela a quella mostrata che, seppur è di fatto un modo possibile di vivere, resta tuttavia una realtà e non raffigura tutti gli abitanti di via Ciambra così come il resto delle comunità rom.
Un film del genere sarebbe potuto essere uno strumento pedagogico per decostruire gli stereotipi e la visione negativa che un po’ ovunque nel mondo unisce il popolo romanò. In Italia, per esempio, secondo il pew research center l’86% degli Italiani ha un’opinione sfavorevole sui rom mentre in Calabria, luogo in cui è ambientato, vi è la percezione degli “zingari” fra l’altro che condensano il 7,81% di pericolosità su una scala da 0 a 10 (Elia; Fantozzi 2016). Tenendo presenti le rappresentazioni sociali del mondo rom e l’utilità dell’arte per favorire l’immaginazione narrativa di cui parla la filosofa Americana Martha Nussbaum in Coltivare l’umanità, il film sarebbe potuto essere non una voce come le altre impregnata di negatività ma una voce fuori campo che avvalendosi di un messaggio pedagogico avrebbe potuto raccontare la storia di un luogo di degrado e della fragilità umana periferizzata e costretta a causa di politiche errate a vivere in condizioni simili.
In “A Ciambra” non viene raccontato, ad esempio, che è stato presentato un progetto che prevede una spesa di 8,5 milioni di euro per ristrutturare e sviluppare ulteriormente il ghetto anziché eliminarlo. Spesso accade che i ghetti vengono pensati secondo delle logiche culturali erronee come il villaggio rom di Cosenza. Ghetti che a partire dagli anni ’80 sono stati istituzionalizzati in molte regioni, ma non in Calabria, attraverso delle apposite leggi regionali accomunate dall’idea del rom nomade e introiettata spesso anche dagli stessi rom, e che hanno dato vita ai famosi campi nomadi. Questa visione dello zingaro nomade, emerge in apertura attraverso la scena dell’accampamento e conferma la non conoscenza della comunità della propria storia e del regista che ha acquisito delle informazioni sbagliate.
La comunità di via Ciambra è una delle tante che spesso è sotto i riflettori mediatici per negatività, degrado, furti… e non per le storie positive. Quello che la gente ignora è che parliamo di un popolo presente da oltre sei secoli ma non è riconosciuto dalla legge del 15 Dicembre 1999 n. 482 che tutela le minoranze storiche linguistiche in Italia, e che in merito è stata presentata in data 5 giugno 2015 da Melilla e altri 18 deputati la modifica della legge prima citata per richiedere di riconoscere, fra le altre, la minoranza romanì. E come dimenticare la legge regionale depositata alla regione Calabria dall’onorevole Giuseppe Morrone per il riconoscimento della stessa, presente, secondo dati storici, dal 1600? La legge regionale prevede l’istituzione di un Osservatorio territoriale partecipato (OTP), ovvero, un organo di studi, ricerca e promozione formativa e sociale natura tecnico/scientifica, di affiancamento, di consulenza agli organi politici, di incoraggiamento e supporto nei confronti delle comunità romanès (http://www.consiglioregionale.calabria.it/pl10/P.L.%20n%20.%20172.10%5E.pdf).
Jonas Carpignano con “A Ciambra” racconta la vicenda di Pio e la sua famiglia ed emergono con la storia alcuni problemi che necessitano interventi urgenti come la questione dell’alfabetizzazione che diventa un problema dalle scuole superiori, mentre sino alle scuole medie bene o male vanno tutti. La storia di Pio è intrisa della fragilità che emerge in alcuni momenti, delle difficoltà di vivere in una famiglia che offre un modello pedagogico sbagliato, dalla voglia di dimostrare d’essere grande e d’essere riconosciuto come tale e della sofferenza che trapela dal tradimento dell’amico nero. Quella di Pio è la storia di una famiglia, una delle tante, che nell’emarginazione subisce e resta silente piegandosi al potere di chi strumentalizza un popolo e lo lascia inerme in un limbo a marcire. Carpignano ha fatto una scelta, quella di raccontare una realtà; il problema è poi di chi preferisce generalizzare non conoscendo e non capendo che è un film frutto di una scelta… ma questa è un’altra storia.
Riferimenti bibliografici
Anna Maria Meneghini, Stereotipi e paure degli italiani nei confronti degli zingari: una rassegna degli studi psicosociali condotti in Italia, in “Psicologia sociale, Rivista quadrimestrale” 1/2017, pp. 3-32, doi: 10.1482/86086.
Anna Elia e Pietro Fantozzi (a cura di), Discriminazioni e antidiscriminazione in Calabria, Soveria Mannelli : Rubbettino, 2016.
Martha C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2006.
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