Mariella Karpati: una pedagogia da decostruire
Di Camilla Bernardini
La pedagogia zingara inaugurata nel nostro paese dopo la fine della Seconda guerra mondiale si apre con gli studi di Mirella Karpati. La studiosa nacque a Fiume nel 1923 e dopo aver conseguito una laurea in Pedagogia, nel 1959 iniziò a lavorare con rom e sinti, diventando ben presto un punto di riferimento sia negli ambienti scientifici sia in quelli istituzionali. Il suo interesse era rivolto alla scolarizzazione dei bambini zingari: attraverso una progettazione educativa rivolta ai “nomadi” si cercava di inserirli nella società italiana. Il problema di questa nuova pedagogia era rappresentato dagli stessi fondamenti su cui questa nasceva. La Karpati, infatti, attinge agli studi di Hermann Arnold, collaboratore di Eva Justin considerato uno dei massimi esperti del “mondo zingaro”, che aveva continuato a diffondere tesi sull’inferiorità razziale degli zingari nel periodo post-bellico in Germania. La pedagogista prende in considerazione i test d’intelligenza cui erano stati sottoposti i bambini rom svizzeri, i quali dimostravano che i rom godevano di un’intelligenza inferiore rispetto alla popolazione maggioritaria, questo perché si trattava di test totalmente inadeguati per bambini analfabeti. In particolare, si trattava di un’intelligenza basata sull’intuito e guidata dalla sfera affettiva e dall’istinto, incapace di astrazione. Con Mariella Karpati, dunque, continuano ad essere trasmessi e divulgati gli stereotipi e i pregiudizi del passato. La causa dei tentativi educativi falliti in passato era da ricondurre agli adulti rom, i quali non garantivano un’adeguata educazione ed istruzione ai loro bambini e non erano in grado di promuovere una rielaborazione degli apprendimenti dati dalle esperienze vissute dai loro figli. Inoltre, torna il tema della presunta asocialità Rom, in voga nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Le tesi di Mariella Karpati si istituzionalizzano con l’Opera nomadi, nata a Bolzano nel 1963, associazione esterna allo stato che doveva coordinare il processo di scolarizzazione dei bambini rom e sinti. I bambini zingari venivano accolti in classi speciali dal nome “Lacio Drom”, istituite all’interno delle scuole comuni e la loro educazione era affidata a insegnanti specificamente formati sulla popolazione Rom. Compito della scuola, deciso con la stipulazione nel 1965 di una convenzione tra Ministero della Pubblica istruzione, Istituto di Pedagogia dell’Università di Padova e Opera nomadi, era quello di sensibilizzare le famiglie rom riguardo l’istruzione dei propri figli e garantire il trasporto per gli alunni che dovevano frequentare la scuola. La scuola era autorizzata a mettere in atto metodi educativi molto rigidi perché doveva compensare l’educazione che veniva a mancare a casa. Ancora una volta si andavano a diffondere nella società alcuni stereotipi, mascherati dal velo della pseudoscientificità. Il problema è che questa pedagogia ha guidato per anni la scuola italiana e in alcuni casi lo fa ancora.
Bibliografia
L. Bravi, Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell’educazione dei rom e dei sinti in Italia, Milano, Unicopli, 2009.
E. Justin, L. Bravi (a cura di), I destini dei bambini zingari. Educati in modo estraneo alla loro razza, Milano, FrancoAngeli, 2018.
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