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“Rom, senza dio e senza patria”.

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Introduzione alla spiritualità del popolo romanò tra storia, mito e …fake news.

di Alex Gisondi

L’argomento ‘religione’ è forse tra i più spinosi e difficili da trattare. Si ha una idea vaga, ovviamente astratta , difficile da esternare. Come per molti argomenti , nei secoli, questa parola ha mutato spesso il suo significato o quanto meno è stato interpretato in vari modi. Sicuramente la religione va’ intesa come fenomeno storico ed in quanto tale, le definizioni, i concetti storici, si formano a posteriori. Il nostro odierno concetto di ‘religione’ è esso stesso un prodotto storico.  Se a queste difficili riflessioni ci aggiungiamo  la spiritualità delle comunità romanì  l’argomento si infittisce. “Attraversando tanti popoli e tante culture, la popolazione romanì, come per la musica e per la lingua, ha avuto modo di conoscere e assorbire tanti riti di culti diversi. Non esiste, oggi, una religione tipicamente romanès, con sacerdoti e templi, con culti e credenze originari. La spiritualità romanès è figlia dell’Oriente, arricchita di imprestiti dell’Occidente. Le comunità romanès si sono allineate alle diverse religioni dei Paesi ospitanti fin dal loro arrivo in Europa. Ciò è avvenuto più che per un’esigenza di fede, per evitare le immancabili ritorsioni e le inevitabili persecuzioni anche se non mancano, oggigiorno, da parte di singoli individui, espressioni di devozione profonda. Nel periodo dell’Inquisizione, spesso, le famiglie romanès venivano accusate di essere eretiche e quindi mandate al rogo. Bisognava «per forza» essere dei «buoni cristiani», per evitare il peggio. In pratica, si sono convertiti più per convenzione che per sincera convinzione.” Ci viene in aiuto il Prof. Santino Spinelli, studioso per eccellenza quando si parla di comunità romanès. Il punto principale da sottolineare è uno: il popolo romanò ha assimilato nei secoli usi, costumi, fede, spiritualità delle comunità con cui era a stretto contatto e dei luoghi in cui viveva. Proprio per questo parlare della “religione dei Rom” non ha senso alcuno. Tra le comunità Rom e Sinti, spostandoci geograficamente possiamo trovare mussulmani, tra cui i famosi Khorakhané (alla lettera: “Amanti del Corano“) dei Balcani, cristiani, ortodossi, pentecostali europei. Come accade spesso per qualsiasi tipo di comunità, anche per quella romanès, la religione “acquisita” ha finito per identificare e spesso dividere, creando elementi distintivi tra la popolazione. Possiamo però dire con certezza una cosa:  che la fede romanì è monoteista e rispecchia , anche statisticamente, l’andamento delle religioni nella maggior parte delle comunità del mondo. Da recenti studi infatti è emerso che non esiste “la minima traccia d’aver praticato nel passato alcuna presunta religione politeista o panteista”. Continua Spinelli: “I concetti religiosi romanès sono piuttosto vicini a quelli ebraici: innanzitutto il carattere molto personale di Dio, ciò significa che Devel (Dio) è accessibile e non è irraggiungibile come Allah e neanche relativamente accessibile come nel Cristianesimo, che usualmente necessita d’un mediatore (angeli o santi) per avere un contatto personale con Lui. L’esistenza d’un mondo spirituale, che consiste in spiriti puri e impuri e che rappresenta il bene e il male in costante lotta, ha un’influenza zoroastrica, acquisita durante il soggiorno persiano. La popolazione romanì crede nella morte come passaggio definitivo al mondo spirituale: non c’è la minima traccia dell’idea della reincarnazione”.

Quello che accomuna proprio tutte le comunità senza dubbio il loro luogo originario di provenienza, l’ India, e dunque la religione professata, la fede buddista e quella induista. “Ancora oggi ci sono reminiscenze nella cultura e nella lingua riconducibili a queste religioni”.  Una delle evidenze a sostegno di questa tesi è la “bella” e affascinante prova linguistica  che Spinelli riporta nel suo saggio : “Ci sono termini religiosi nella lingua che si ricollegano direttamente alla religione Indù, è il caso di triśul o truśul che oggi, presso molte comunità romanès, significa «Croce, Crocifisso», ma in realtà il triśul è il «tridente» di Shiva, divinità Indù. Nella lingua romanì trin significa «tre» e deriva dal sanscrito trin. Quando la popolazione romanì venne a contatto con la religione cristiana nell’Impero Bizantino, per traslazione il simbolo di Shiva divenne il simbolo della nuova religione, ovvero la «Croce». Ψ (simbolo di Shiva) = + simbolo della croce cristiana.

Un popolo capace di assorbire, rivalorizzare ed incorporare praticamente tutte le religioni esistenti al mondo a prova della grande e sconfinata maturità intellettuale di questo popolo.  Nel barbaro immaginario comune i Rom, Sinti, vengono descritti come dei ‘senza dio e senza patria’ , visti ancora oggi quasi come “stregoni”. Questo è accaduto a causa della scarsa (o nulla) conoscenza che il mondo ha del popolo romanò, basandosi solo su stereotipi e fake news, molto spesso create ad hoc, le cronache ne sono piene…

I Rom, Sinti, Manouches, Kale e Romanichals generalmente sono molto superstiziosi e fatalisti. Vivono in un mondo dicotomico dove alle forze del bene e del male il concetto di cattiva e buona sorte. Questa separazione scandisce ogni momento della loro vita, alleggerendo l’argomento  potremmo dire :come uno stereotipato napoletano.  

Per concludere, la spiritualità di questo popolo è forse tra le più in linea con il termine originario di ‘superstizione’ ((superstitio) che altro non voleva dire che un eccesso di religio ( insieme di pratiche divinatorie, cultuali,  poi inglobate  nel termine ‘religione’).

 Un argomento ricco, complicato , quanto affascinante che sicuramente torneremo a trattare.

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